STAGES PER STUDENTI DI SCUOLA SECONDARIA
DI SECONDO GRADO
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STAGES INVERNALI 2009
2 febbraio - 20 maggio


 
RYUGO HAYANO


Ryugo Hayano insegna presso l'Università di Tokio, ed attualmente si sta occupando degli "atomi esotici" insieme al suo gruppo di ricerca.


Questa è l'intervista al professor Ryugo Hayano, il quale tramite e-mail ci ha parlato di sè e del suo lavoro.

1952 – Nato a Gifu, in Giappone
1974 – Laurea in Fisica, all’Università di Tokyo
1979 – Dottorato in fisica, all’Università di Tokyo (Ho condotto gran parte del mio lavoro per la tesi presso l’Università di Vancouver, in Canada, ed ho poi discusso la tesi a Tokyo)
1979 – Ricercatore associato presso l’Università di Tokyo
1982 – Professore associato presso il National Laboratory for High Energy Physics (KEK), Giappone
1986 - Professore associato, presso l’Università di Tokyo
1997 - Professore titolare, presso l’Università di Tokyo

Riconoscimenti

1998 – Inoue Science Award (per la scoperta degli ipernuclei sigma e dell’elio antiprotonico)
2008 – Nishina Memorial prize (per lo studio di atomi di elio antiprotonico). Questo è il premio di fisica più prestigioso in Giappone.

D: Come e perché ha deciso di studiare fisica e qual è il ricordo più bello della sua vita da studente?

Appena prima del mio quinto compleanno, iniziai a prendere lezioni di violino. Mi allenai molto duramente e diventai discretamente bravo nel suonarlo. Il mio insegnante di violino, il Dr. Shin’ichi Suzuki, mi portò ad una tourneé di concerti in giro per l’America insieme ad altri nove studenti nel 1964; fu un successo fenomenale. Tuttavia non ho mai pensato seriamente di diventare un violinista di professione.
Mio padre era un professore di medicina. Anche mia madre si laureò ad una scuola medica (anche se decise di restare a casa dopo il matrimonio). Quindi era piuttosto naturale che fossi attratto verso la scienza durante la mia giovinezza. Leggevo ogni tipo di libro al riguardo. Ero anche un fan dello scomporre gli oggetti (e spesso fallivo nel ricomporli con grande imbarazzo dei miei genitori).
A scuola amavo matematica e fisica, perché ero in grado di comprendere e risolvere problemi basandomi su pochissimi principi: non apprezzavo altre materie che costringevano gli studenti a memorizzare gli argomenti.
All’età di 18 anni, quando dovevo scegliere il mio futuro, ero ancora indeciso se fare medicina o una facoltà scientifica. Fu mio padre a suggerirmi di scegliere la scienza di base, dicendo: “se il tuo sogno è di diventare un ricercatore piuttosto che lavorare nel campo medico, perché sprecare anni in più per ottenere il diploma di medicina pratica?
Sapevo, osservando mio padre, quanto fosse faticoso fare ricerca, insegnare agli studenti e visitare pazienti allo stesso tempo. Nella mia gioventù lo vedevo raramente a casa. Lo rispettavo, ma volevo in qualche modo vivere la mia vita diversamente. La mia fidanzata (che dopo circa dieci anni diventò la mia cara moglie) era dello stesso parere. Quindi decisi scienza piuttosto che medicina.
Fu dopo esser entrato all’Università di Tokyo che mi avvicinai alla fisica. Sapevo già che la meccanica e l’elettromagnetismo che avevo studiato a scuola non erano “moderni” e quindi fu un’emozione conoscere la meccanica quantistica e la relatività (nonostante fosse scoraggiante realizzare quanto ancora avrei dovuto studiare prima di iniziare propriamente a lavorare sugli argomenti di “frontiera”).
Quando ero uno studente senior al quarto anno, incontrai il mio mentore, il Professore Toshi Yamazaki (che più tardi divenne anche mio collaboratore ed amico). Il suo gruppo allora lavorava ad un piccolo ciclotrone, usato per scopi medici di giorno, ma riservato a noi fisici la notte. Lo stesso Toshi spesso non era disponibile in laboratorio. Approfittando della sua assenza imparai come manovrare l’acceleratore ed anche come ripararlo. C’era anche un piccolo computer nel laboratorio, uno dei primi “mini computer” disponibili, grosso all’incirca come una libreria, con solo 0.12 megabyte di memoria, senza un hard disk (solo carta ed unità a nastro magnetico), e che dovette esser costato l’equivalente di 100,000 € - lo stato dell’arte nei primi anni ’70! Imparai a programmare questa macchina ed elaborai alcuni programmi per analizzare i dati presi al ciclotrone. Tutto questo mi entusiasmava estremamente e perciò letteralmente “abitavo” nel laboratorio.
Nel 1974 scelsi Toshi Yamazaki come il mio supervisore nel dottorato (o piuttosto lui accettò me come suo studente). Tuttavia, quando mi presentai nel suo ufficio il primo giorno del mio dottorato, vidi che il mio supervisore era assente, ma l’ufficio era invece occupato da un professore tedesco. Questi era il Professore Paul Kienle, (anche lui ho scoperto essere stato intervistato in questo stage) che è diventato mio collaboratore ed amico. Non era comune incontrare stranieri a Tokyo nei primi anni ’70, ed avere un professore di fisica tedesco come supervisore. Dal momento che altri studenti (più vecchi) nel gruppo erano piuttosto esitanti a parlare con Paul, io ero l’unico che comunicava maggiormente con lui. Non ricordo di aver fatto molta fisica con lui, ma frequentavamo bar, divertendoci.
Successivamente Toshi mi disse di andare a Berkeley, dove stava svolgendo un esperimento, cosa che io feci con entusiasmo, e subito dopo il mio arrivo accadde qualcosa di molto eccitante; la gente correva ovunque e le persone discutevano animatamente. Questo fu il giorno in cui  fu scoperta una nuova particella (ψ – psi) a SLAC (Acceleratore Lineare di Stanford), l’evento storico ora noto come la “rivoluzione J/ψ di Novembre” della fisica delle particelle. Essendo ancora inesperto studente del primo anno di dottorato, non ero in grado di comprendere pienamente la causa di tale eccitazione, ma potevo percepire che fosse stato scoperto qualcosa d’importante – degno di un premio Nobel. Fui fortunato ad assistere al tutto.
Poco dopo la rivoluzione di Novembre, Toshi si spostò a Vancouver, in Canada, dove il nuovo potente ciclotrone “TRIUMF” stava per esser completato. Mi disse di raggiungerlo, quindi comprai una piccola auto in California e guidai fino a Vancouver. Toshi ed io aspettamo invano l’uscita del primo fascio dal ciclotrone per giorni. Non si ottenne quasi nulla prima che Toshi tornò a Tokyo dopo circa sei mesi, ma io continuai a restare a Vancouver per gran parte dei successivi quattro anni, finché completai la mia tesi di dottorato. Fui il primo studente a prendere il dottorato usando dati presi dal ciclotrone TRIUMF.
Alla fin fine son stato piuttosto fortunato ad avere delle eccellenti guide e ad esser stato introdotto all’ambiente di ricerca della fisica internazionale fin dall’inizio della mia carriera accademica.

D: Quali difficoltà ha dovuto affrontare nella sua carriera e qual è stato l’episodio più entusiasmante?

Le difficoltà sono state tante ma io sono abbastanza ottimista per dimenticarle. Normalmente è così. Naturalmente ci sono stati molti momenti nei quali sembrava che le mie ricerche non portassero da nessuna parte. Sono stato anche lievemente depresso e pensavo: “Accidenti, devo aver fatto la scelta sbagliata. Se fossi stato un medico la mia vita avrebbe avuto più significato. Queste sono cose che la fisica non può scoprire”.
Attualmente le difficoltà sono principalmente di ordine economico. Gli esperimenti richiedono fondi e i nostri esperimenti tendono a costare più degli esperimenti in altri campi della fisica, quali la fisica dei solidi e l’ottica dei quanti. Per ottenerli dobbiamo impegnarci a scrivere proposte, svolgere relazioni e colloqui e così via, ogni 3 o 5 anni. La competizione è severa: dovessi fallire (nella ricerca dei fondi) le conseguenze per il mio gruppo di ricerca sarebbero devastanti. Senza denaro non ci sarebbero ricadute della ricerca, e senza nulla da mostrare la mia successiva proposta sarebbe facilmente rifiutata (è comunemente nota nel mio lavoro l’espressione: “pubblica o muori”). Per fortuna io non sono mai stato in questa spirale negativa, ma la possibilità che accada è davvero un incubo.
Per quanto riguarda invece gli episodi emozionanti, io sono stato abbastanza fortunato per aver compiuto varie scoperte “serendipitous”, ovvero quelle scoperte trovate in modo totalmente inaspettato. Permettetemi di dire qualcosa a riguardo della mia prima scoperta “serendipitous”. Accadde quando ero a Vancouver, lavorando per trovare il soggetto della mia tesi. Toshi, il mio supervisore, era via a Tokio. Non c’era internet ancora e le telefonate internazionali avevano un costo proibitivo. Noi comunicavamo per posta aerea che era spesso ritardata dagli scioperi (piuttosto frequenti) dei lavoratori della posta in Canada. Qui, per favore, dovete prestare attenzione poiché affronteremo un discorso assai tecnico. Toshi era pioniere di un nuovo campo di ricerca, chiamato “μSR” (muon spin rotation) al TRIUMF, un potente metodo per studiare le proprietà magnetiche delle sostanze utilizzando un acceleratore che produceva muoni (μ è un fratello leggero dell’elettrone). In questo metodo, un campo magnetico è applicato perpendicolarmente alla direzione del fascio di muoni, nel quale la rotazione dei muoni, che è originariamente orientata lungo la direzione del fascio di muoni, procede. Misurazioni del processo di rotazione dei muoni scoprono dettagli della struttura interna dei materiali in cui i muoni sono portati a rimanere. Per varie ragioni (ma certamente non per fare la scoperta che sto per descrivere), io costruii un sistema relativamente semplice per applicare un campo magnetico lungo la direzione del fascio di muoni, piuttosto che perpendicolarmente (nel qual caso ci si aspettava che la rotazione dei muoni non procedesse). Invece, quando per la prima volta presi i dati senza applicare il campo magnetico (solo per verificare il funzionamento del rilevatore) fui sorpreso nel rilevare che la rotazione apparì procedere lentamente - non tanto come negli ordinari casi di μSR – ma circa la metà per giro. Spedii i dati a Tokio, ove il mio supervisore li mostrò ai suoi colleghi di fisica teorica in facoltà. Il prof. Kubo, come ho saputo, fu molto eccitato. Si scoprì che il prof. Kubo una volta aveva lavorato su un problema dei comportamenti delle rotazioni a “campo zero” (in questo caso era la rotazione nucleare piuttosto che quella dei muoni) come un problema puramente accademico che non avrebbe mai potuto essere sperimentato empiricamente. Un messaggio da Tokio chiedeva: “Che folle! E’ possibile verificare se la rotazione è maggiore di 180 gradi?". Lo feci immediatamente e provai, come previsto dal prof. Kubo, che la rotazione compie quasi un intero giro. Fu un momento davvero emozionante. Per puro caso avevo scoperto “zero-field muon spin relaxation method” (questa è la definizione che ho usato nella mia pubblicazione), e con questa scoperta ho ottenuto il mio diploma con facilità. La mia tesi, pubblicata nella rivista “Physical Review” del 1979 è diventata un “classico” ed è ancora oggi uno dei miei lavori più letti. Il metodo “campo zero” è ora uno strumento standard per studiare, ad esempio, i materiali superconduttori alle alte temperature.

D: Su cosa sta lavorando attualmente?

Sto studiando gli “atomi esotici”. Negli atomi ordinari gli elettroni orbitano attorno al nucleo atomico. Quando invece una particella caricata negativamente come un antiprotone (l’antiparticella del protone, che ha una carica negativa ma ha la stessa massa del protone) è legata al nucleo, chiamiamo tale sistema un “atomo esotico”. Gli atomi esotici non esistono in natura: devono essere sintetizzati artificialmente usando un acceleratore. Certo, ci si potrebbe chiedere quale sia lo scopo di studiare simili fenomeni considerando che questi non sono gli elementi costitutivi dell’universo. Buona domanda. Risulta che le tecniche di “atomic spectroscopy”, i metodi per studiare i livelli discreti di energia atomica osservando “atomic transitions” (emissione e assorbimento di quanti di luce dall’atomo), che sono i metodi stabiliti per usare gli atomi ordinari, possono essere applicati per studiare gli atomi esotici (a dirla così sembra semplice ma in realtà ci sono voluti molti anni per sviluppare queste tecniche). I nostri risultati possono essere usati per verificare le fondamentali simmetrie della natura, come la simmetria tra materia e antimateria. Una delle questioni centrali è: la massa del protone è esattamente la stessa dell’antiprotone? Questa è una delle mie principali attività che sto svolgendo al CERN in Svizzera. Il mio gruppo di lavoro, denominato ASACUSA, sta lavorando all’analisi mediante  spettroscopio laser dell’elio antiprotonico (nel quale uno dei due elettroni di un normale atomo di elio è rimpiazzato da un antiprotone), ed ha misurato la massa dell’antiprotone così precisamente come la massa del protone. Comunque l’atomo di elio antiprotonico è un altro esempio di una nostra scoperta “serendipitous”. Al CERN abbiamo misurato che la massa del protone e quella dell’antiprotone coincidono con una precisione di una parte su 10 miliardi e le nostre misurazioni sulla massa dell’antiprotone, insieme alle nostre migliori misurazioni sulla massa del protone sono ora usate nella determinazione delle “fondamentali costanti fisiche” adottate internazionalmente: queste sono la pietra angolare della fisica moderna e la base per il sistema metrico internazione di unità “SI”. Per questo lavoro ho ottenuto recentemente il prestigioso Nishina Memorial Prize.

D: Quale crede possa essere la prossima scoperta in fisica?

La particella di Higgs. Questa sarà un’importante scoperta ma potrebbe non essere sconvolgente per il mondo, dal momento che Higgs è già una parte integrante del cosiddetto “Modello Standard” della fisica delle particelle. Solo pochi fisici dubitano seriamente della sua esistenza.
Sarebbe più interessante la scoperta delle particelle “supersimmetriche”. Molti teorici credono che ogni particella conosciuta abbia il suo partner “supersimmetrico”. Per esempio, l’elettrone potrebbe avere un partner chiamato selectron, il fotone (quanto di luce) potrebbe avere un partner chiamato fotino, etc. La scoperta di una qualsiasi di queste particelle partner altererebbe drasticamente il nostro modo di guardare la natura. Il Large Hadron Collider (LHC) del CERN è considerato abbastanza potente da poter scoprire se queste particelle esistOno. Se il nostro esperimento ASACUSA scoprisse che la massa dell’antiprotone è diversa da quella del protone, per quanto sottile possa essere questa differenza, sarebbe una scoperta da Premio Nobel (ammetto che questa è una possibilità remota).

D: Quale ritiene sia stata la scoperta più grande in fisica e qual è il suo scienziato preferito?

Il Big Bang. Come fu creato questo mondo e come è iniziata l'esistenza è una domanda fondamentale, che fino ad ora è rimasta nell’ambito della mitologia e della religione. Fisici e astronomi hanno ora stabilito, abbastanza fermamente, che il nostro universo è stato creato in un'esplosione 13.7 miliardi di anni fa, e che le leggi fondamentali della fisica possono essere utilizzate per capire come l’universo si è evoluto da una palla di fuoco ad alta temperatura. E’ interessante notare che Einstein, la cui teoria della “relatività generale” è inevitabile per la nostra comprensione dell’universo, credeva fortemente che questo dovesse essere eternamente costante (per ragioni estetiche). Si sbagliava. Questo mostra di nuovo l’importanza della sperimentazione e dell’osservazione.
Il mio scienziato preferito? Non ne ho solamente uno (ci sono talmente tante grandi menti -o meglio giganti- nella storia della fisica), ma lasciatemi fare il nome di un italiano ed un giapponese.
Enrico Fermi. I suoi libri di testo (“Teoria quantistica della radiazione” e “”Fisica nucleare”) mi attirarono molto quando ero uno studente. Mi auguravo di poter essere come lui che eccelleva sia nella fisica teorica che in quella sperimentale.
Masatoshi Koshiba, il Nobel coronato d’alloro del 2002 per la scoperta dei neutroni di una supernova utilizzando il “Kamiokande” detector. Lo conosco sin dai miei giorni da laureando a Tokio, e ricordo vividamente quando ci disse i suoi piani per costruire il detector “Kamiokande". Più tardi divenni suo collega come membro di facoltà e fui presente alla conferenza stampa tenuta dal nostro dipartimento quando fu annunciato il Nobel. Ho sempre ammirato il suo vigore e la sua lungimiranza.

D: Quanto è importante la collaborazione nella ricerca scientifica anche tra nazioni diverse?

Nel mio campo, che fa affidamento su acceleratori di larga scala, le collaborazioni internazionali sono essenziali. Per esempio, se trovo un’idea per un nuovo esperimento, per il quale non c’è alcun acceleratore in Giappone che possa soddisfare la mia richiesta, non esito affatto ad andare dovunque nel mondo esista una macchina adatta. Ho acquisito questa attitudine grazie al mio mentore Toshi Yamazaki. Come conseguenza, i miei studenti hanno lavorato in Germania, US e Svizzera (e in Giappone ovviamente). Uno dei miei attuali allievi, di origine cinese, sta ora partecipando ad un esperimento condotto in Italia a Frascati. La scienza è senza confini. Quando lavoriamo in collaborazioni internazionali di questo tipo, comunichiamo in Inglese. Per esempio, sulla prima pagina del diario (ossia un pesante, spesso quaderno nel quale abbiamo appuntato tutto ciò che abbiamo fatto, trovato, imparato) dell’esperimento che noi abbiamo effettuato in Germania, abbiamo scritto: “Niente Tedesco, niente Giapponese”.

D: Come si definisce uno scienziato e in che modo talento, intuizione e studio influiscono nella sua professione?

Gli scienziati sono persone con la passione di scoprire la verità dietro le cose, i quali sono stati allenati (attraverso il duro lavoro) ad acquisire i mezzi con cui affrontare i problemi. Essendo un fisico sperimentale, credo fortemente nel potere e nell’importanza dell’esperimento per svelare i segreti della Natura. La curiosità ci guida. Lo studio la segue naturalmente. Ciò vuol dire: noi spesso incontriamo un ostacolo e lottiamo duramente per superarlo. È in questa fase che siamo motivati a studiare, ad imparare qualcosa di nuovo. Esistono libri e manuali per la fisica, matematica… ma non esistono libri “su come fare” a diventare uno scienziato valente e di successo. Non è qualcosa che possa essere facilmente insegnato. Comunque, può essere in qualche modo “ereditato” dal tuo mentore. Non sto dicendo che dovresti diventare un clone del tuo professore, poiché è essenziale in fisica che tu faccia qualche cosa di originale. Ma se incontri un mentore, sperandolo sia uno scienziato di calibro mondiale, hai a disposizione diversi anni per osservare ciò che è necessario per essere un grande scienziato, per quale ragione egli/ella sia eccellente nel suo campo, che cosa ha fatto ( o non fatto )… Il tuo mentore può essere u sato per misurarti con te stesso. Per essere uno scienziato di fama mondiale, un giorno dovrai superarlo.

D: Quali sono i suoi hobbies e passioni e quale libro ci consiglia di leggere?

La bellezza dell’essere scienziato è il fatto che non c’è reale distinzione tra lavoro, hobby e vita reale. La Fisica è sempre nei miei pensieri. Noi fisici facciamo ciò che amiamo di più ogni giorno e siamo persino pagati. Meraviglioso, non è vero?
Sono un appassionato di gadget, per esempio. Sono interessato a tutti i nuovi tipi di giocattoli, computer, fotocamere digitali, etc., ma dato che utilizzo molto questo tipo di accessori nel mio campo di ricerca, non considererei questo il mio hobby.
Vorrei poter dire che la musica (il violino) è la mia passione (oltre alla Fisica), ma purtroppo non posso suonare questo strumento adesso(dato che vivo nel centro di Tokyo, dove suonare uno strumento musicale è fortemente sconsigliato). Mi  risparmio questo piacere per la pensione. Frequento regolarmente i teatri, in particolare gli spettacoli tradizionali giapponesi “Kabuki”. Ero solito tenere un corso di “educazione al Kabuki” nella mia università, in cui portavo gli studenti di scienza al teatro Kabuki ogni mese. Era un corso molto popolare.
Oh, dimenticavo il libro. Vediamo… potrei forse suggerire “ The Prism and the Pendulum: the ten most beautiful experiments in science” di Robert P. Crease. Ho scelto questo lavoro perchè sono un fisico sperimentale. Il libro è ben scritto, e dovrebbe essere comprensibile agli studenti delle scuole superiori. Se posso nominarne un altro, lasciate che vi consigli un libro scritto da un autore giapponese. Si tratta di “Quarks: Frontiers in Elementary Particle Physics” di Yoichiro Nambu, il Laureate Nobel del 2008, che ottenne il Ph.D all’Università di Tokio nel 1952, il mio anno di nascita.

D: Come vede il futuro della ricerca in questo periodo di crisi economica mondiale?

La Scienza da forma al nostro futuro. I governi di oggi sembrano averlo capito, dato che di solito non tagliano drasticamente i fondi alla ricerca in situazioni di crisi economica. Ciò non significa tuttavia che possiamo dare per garantito l’appoggio dei governi. Noi scienziati dobbiamo spiegare alla società cosa facciamo e perché, e dobbiamo fare ciò che possiamo per attrarre giovani di talento.