Gianni Battimelli

Dipartimento di Fisica, Università di Roma “La sapienza”

Enrico Fermi è stato uno dei grandi geni universali che dimostrano le enormi posibilità dell’uomo di comprendere e modificare la natura; al contempo ha contribuito in modo eccezionale alla rinascita della scienza in Italia lasciando attraverso i suoi allievi un patrimonio culturale che ancora dà i suoi frutti. Il centenario della sua nascita è una occasione per ricordarne sinteticamente la figura e l’opera, in una vicenda umana che ha intersecato e contribuito a determinare la storia del XX secolo.

Enrico Fermi nasce il 29 settembre 1901 a Roma, da una famiglia di origini piacentine priva di tradizioni scientifiche. La sua passione per le scienze naturali, e in particolare per la fisica, si sviluppa in modo del tutto indipendente, solo stimolata e guidata negli anni del liceo da un amico di famiglia, l’ingegner Adolfo Amidei, che, riconosciute le eccezionali capacità intellettuali del giovane, ne indirizza le letture, e gli suggerisce di tentare l’esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Terminati gli studi liceali a Roma, Fermi entra dunque nell’ottobre 1918 nella prestigiosa scuola pisana, presentando alla prova di ammissione un elaborato sulle caratteristiche della propagazione del suono alla cui autenticità i commissari si rifiutano inizialmente di credere, dato il livello di conoscenza della fisica e di controllo del formalismo matematico di cui vi si dà prova.

Gli studi alla Normale non presentano particolari difficoltà per il giovane Fermi, che prosegue intanto l’individuale percorso di autodidatta studiando per proprio conto (sui testi originali in lingua straniera, perché nulla di tutto ciò esiste al momento in italiano) la nuova fisica che è emersa attorno alle teorie della relatività e dei quanti. Nell’Italia di quegli anni le nuove teorie scientifiche sono del tutto assenti dall’insegnamento universitario, e solo qualche matematico di prestigio e interessato alle applicazioni alla fisica, come Tullio Levi-Civita, è al corrente di quanto si sta muovendo negli ambienti internazionali più avanzati in materia di fisica teorica. Fermi si costruisce quindi da solo, tra il 1919 e il 1922, una solida competenza su tutto lo spettro delle questioni della “nuova fisica”, dalla relatività alla meccanica statistica alla teoria dei quanti nelle sue varie applicazioni, al punto che già a partire dal 1920 viene invitato dal direttore dell’Istituto di Fisica di Pisa Luigi Puccianti a tenere un ciclo di seminari sulla fisica quantistica. Ancora prima di laurearsi, Fermi pubblica i suoi primi lavori scientifici importanti, tra cui un contributo alla teoria della relatività generale in cui introduce un particolare sistema di coordinate che diventeranno note nella letteratura successiva come “coordinate di Fermi”, inizio di una lunga serie di idee scientifiche cui il suo nome resterà legato.

A Pisa Fermi stringe amicizia con Franco Rasetti e mantiene i contatti scientifici con l’amico e compagno di studi liceali Enrico Persico. Intanto, sviluppa in parallelo alle eccezionali competenze in fisica teorica un genuino gusto per la ricerca sperimentale, acquisendo insieme a Rasetti, nel laboratorio dell’Istituto messo a loro disposizione da Puccianti, un’eccellente conoscenza delle tecniche di indagine sulla diffrazione dei raggi X. Su questo argomento svolge il lavoro per la tesi di laurea, che discute nel luglio 1922.

Dopo la laurea Fermi rientra a Roma ed entra in contatto con il direttore dell’Istituto di Fisica Orso Mario Corbino. Questi riesce a far ottenere a Fermi una borsa di studio di perfezionamento all’estero, che Fermi utilizza per trascorrere sei mesi del 1923 presso l’Istituto di Max Born a Gottinga. Nonostante Gottinga sia all’epoca probabilmente la più interessante fucina delle nuove idee che di lì a poco sfoceranno nella formulazione finale della meccanica quantistica, Fermi non vi si trova particolarmente a suo agio. Giudica eccessivamente formali e vuote di senso fisico le ipotesi teoriche intorno a cui lavorano Born, Heisenberg, Jordan e Pauli, e lavora piuttosto isolato su alcuni problemi di meccanica analitica e di meccanica statistica (gli invarianti adiabatici e il problema ergodico).

Molto più stimolante sul piano intellettuale, e fecondo di risultati scientifici, è per Fermi il secondo periodo trascorso all’estero un anno più tardi, grazie ad una borsa della fondazione Rockefeller. Tra il settembre e il dicembre del 1924 Fermi soggiorna a Leida, presso l’istituto diretto da Paul Ehrenfest, trovandovi un ambiente assai più congeniale con cui entra immediatamente in risonanza sul piano scientifico. Tra il 1923 e il 1925 Fermi pubblica importanti contributi alla teoria dei quanti, che troveranno il loro coronamento all’inizio del 1926 nella formulazione della statistica antisimmetrica che porta il suo nome. In questo lavoro fondamentale Fermi porta a maturazione idee che già aveva cominciato a sviluppare a Leida sulla meccanica statistica di un sistema di particelle identiche, introducendo nella descrizione la regola di selezione ipotizzata da Pauli all’inizio del 1925 (il “principio di esclusione”) in modo da costruire una soddisfacente teoria del comportamento di quelle particelle che si chiameranno da allora “fermioni”. Pochi mesi dopo, in modo indipendente, la stessa teoria sarà elaborata da Paul Adrien Maurice Dirac.

Intanto le iniziative lungimiranti di Orso Mario Corbino per svecchiare il panorama della fisica italiana danno i primi frutti. Nel 1926 Corbino riesce a far mettere a concorso una cattedra di fisica teorica a Roma (la prima con questo nome in Italia), che Fermi vince installandosi all’istituto romano di via Panisperna, professore ordinario all’età di venticinque anni! Nel settembre dell’anno successivo si tiene a Como un grande convegno internazionale di fisica in occasione delle celebrazioni voltiane, in cui la dimostrazione, fatta da Sommerfeld e altri, della efficacia della nuova statistica quantistica per la comprensione di tutta una serie di problemi fino allora insolubili sancisce la reputazione internazionale di Fermi.

All’istituto di via Panisperna comincia a raccogliersi attorno a Fermi (e a Franco Rasetti, che Corbino chiama come suo assistente all’inizio del 1927) un gruppo selezionato di giovani promettenti, a cominciare da Edoardo Amaldi e Emilio Segrè. Tra la fine degli anni venti e l’inizio del decennio successivo il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” si attrezza per passare dallo studio dei fenomeni di spettroscopia atomica e molecolare alle indagini sulle proprietà del nucleo atomico, che Corbino individua in un celebre discorso del 1929 come la nuova frontiera della ricerca in fisica, dopo che il consolidamento della meccanica quantistica permette di poter ritenere risolte almeno in linea di principio le questioni legate alla struttura atomica. La nuova linea di ricerca è resa possibile anche dalla crescente statura scientifica di Fermi, che trova adeguato riconoscimento a livello istituzionale. Nel 1929 Fermi è l’unico fisico designato a far parte della nuova Accademia Reale d’Italia, e nella doppia veste di Accademico d’Italia e di segretario del comitato per la fisica del CNR può in qualche misura orientare finanziamenti ed energie verso i nuovi settori di ricerca. Un momento importante in questa direzione è costituito dal primo Congresso Internazionale di Fisica Nucleare, che si tiene a Roma nel settembre del 1931, di cui Fermi è l’anima organizzatrice e l’ispiratore scientifico. Al congresso vengono posti sul tappeto i principali problemi aperti della fisica nucleare, che cominceranno a trovare soluzione a partire dall’”anno mirabile” 1932, con la scoperta del neutrone.

In questa direzione Fermi dà quello che resta forse il suo principale contributo alla fisica, formulando nell’autunno del 1933 la teoria del decadimento beta. In essa Fermi riprende l’ipotesi del neutrino, avanzata già da un paio d’anni da Pauli per mantenere la validità della conservazione dell’energia nel processo, e utilizza l’idea che protone e neutrone siano due stati differenti dello stesso “oggetto fondamentale”, aggiungendo l’ipotesi radicale che l’elettrone non preesista nel nucleo prima di esserne espulso, ma venga creato, insieme al neutrino, nel processo di decadimento contestualmente alla trasformazione di un neutrone in protone “in modo analogo alla formazione di un quanto di luce che accompagna un salto quantico di un atomo”. Il tutto viene descritto adattando all’interazione responsabile del decadimento radioattivo il formalismo, messo a punto da Dirac nella teoria quantistica della radiazione, degli operatori di creazione e distruzione. È interessante notare che il lavoro, inizialmente inviato alla rivista “Nature”, fu da questa rifiutato perchè “troppo astratto e lontano dalla realtà fisica”, e pubblicato in altra sede.

Il 1934 è l’anno in cui le ricerche di fisica nucleare a via Panisperna raggiungono i risultati più sensazionali, dopo la scoperta da parte di Frédèric Joliot e Irène Curie della radioattività artificiale. Il gruppo di Fermi scopre dapprima la radioattività indotta dai neutroni, che si rivelano proiettili assai più efficaci delle particelle alfa usate nel laboratorio parigino, e in rapida successione le singolari proprietà dei neutroni lenti, mancando di poco l’individuazione del processo della fissione nucleare. Intanto, la situazione in Italia comincia a dare preoccupanti segni di deterioramento. Mentre tutti i più importanti laboratori esteri cominciano a dotarsi delle nuove macchine acceleratrici, fondamentali per produrre sorgenti controllate ed intense di “proiettili” per bombardare i nuclei, i tentativi di Fermi di ottenere i fondi necessari per la costruzione di un laboratorio nazionale per la fisica adeguatamente equipaggiato vanno incontro a ripetuti insuccessi. Per qualche anno Fermi resiste alle numerose offerte di varie università americane, ma quando nel 1938 la promulgazione delle leggi razziali minaccia direttamente la sua famiglia (la moglie, Laura Capon, è di famiglia ebrea), prende definitivamente la decisione di abbandonare l’Italia. L’occasione è offerta dalla assegnazione del premio Nobel per la fisica, per il lavoro sulla radioattività artificiale e sui neutroni lenti. Nel dicembre 1938 Fermi ritira il premio a Stoccolma e da lì si imbarca con la famiglia per gli Stati Uniti, verso la Columbia University a New York. Ufficialmente, si reca in America per tenere un ciclo di lezioni, ma gli amici sanno che non ha alcuna intenzione di ritornare.

La scoperta della fissione nucleare e lo scoppio della guerra pongono drammaticamente all’ordine del giorno la questione del possibile utilizo a fini militari dell’energia nucleare. Per la sua esperienza nella fisica dei neutroni, Fermi diventa il leader naturale del gruppo incaricato di portare a termine la prima fase del progetto che porterà alla bomba, la realizzazione di una reazione a catena autosostenuta e controllata. Il lavoro, coperto dal segreto militare, viene svolto in uno scantinato dell’università di Chicago designato col nome in codice di Metallurgical Laboratory. Nel dicembre 1942, la prima reazione di fissione a catena controllata della storia viene innescata nel reattore costruito sotto la direzione di Fermi. Parte il progetto Manhattan, in cui Fermi svolge un ruolo di primo piano, come esperto di reattori nucleari, come consulente generale sulle questioni teoriche, e infine come membro del ristretto gruppo di scienziati (oltre a Fermi ne facevano parte Robert Oppenheimer, Ernest Lawrence e Arthur Compton) incaricato di esprimere pareri tecnici sull’utilizzo dell’arma nucleare. Nell’agosto del 1944 Fermi si trasferisce stabilmente nel villaggio-laboratorio di Los Alamos, seguendo tutta la fase della messa a punto della bomba atomica, assistendo nel luglio del 1945 alla prima esplosione nucleare nel deserto di Alamogordo.

Alla fine della guerra Fermi torna a Chicago, e ricomincia ad occuparsi di problemi di fisica fondamentale, nel mutato panorama intellettuale generato dalla scoperta delle proprietà delle nuove particelle subnucleari e dai problemi dell’elettrodinamica quantistica. In questi anni si forma intorno a lui un nutrito gruppo di studenti, tra cui figura un buon numero di futuri premi Nobel. Continua a svolgere funzioni importanti di consulente scientifico per il governo americano. Fermi, in qualità di membro del General Advisory Committee, si schiera in modo molto deciso contro lo sviluppo di ricerche per la realizzazione di un ordigno termonucleare, ma quando contro il parere suo e dei suoi colleghi vince la linea opposta sostenuta da Teller, accetta di collaborare alle ricerche, sviluppando con il matematico Stan Ulam una parte importante dell’elaborazione teorica necessaria. È nell’ambito di queste ricerche che Fermi sviluppa l’interesse per le possibilità aperte dai nuovi calcolatori elettronici, e nei primi anni cinquanta sempre in collaborazione con Ulam svolge un lavoro fondamentale e pionieristico di utilizzo del computer come strumento di simulazione per ricostruire le proprietà del comportamento di sistemi dinamici non lineari, la cui evoluzione non si è in grado di descrivere con un trattamento analitico.

Fermi torna due volte in Italia. Nel 1949 partecipa ad un’importante conferenza sui raggi cosmici a Como, seguita da un ciclo di lezioni a Roma e Milano, e nel 1954 tiene, alla scuola estiva della Società Italiana di Fisica a Varenna, un memorabile corso sulla fisica dei pioni e dei nucleoni. Di ritorno a Chicago da questo ultimo viaggio, viene operato per un tumore maligno allo stomaco, ma sopravvive solo poche settimane all’intervento; si spegne il 29 novembre del 1954.