INCONTRI DI FISICA
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I RELATORI: Mariam MAFAI
 
Avevo trent’anni, vivevo in una casa della periferia di Parigi ed ero disoccupata. Un’amica di vecchia data, Maria Antonietta Macciocchi, che allora dirigeva “Vie Nuove” il settimanale del Pci, mi propose di scriverle qualcosa. Ho cominciato così a fare la giornalista, in una Francia alle prese con la drammatica guerra d’Algeria. Come “inviato” di Vie Nuove (un giornale del tutto sconosciuto in Francia) ho raccontato quindi il malessere della sinistra francese, e seguito il generale De Gaulle nella sua visita ad Algeri. (ricordo, tra i giornalisti italiani, Paolo Monelli che mi prese in quel viaggio sotto la sua protezione). Insomma – caso abbastanza raro - ho avuto la fortuna di cominciare il mio lavoro di giornalista come inviato… Tornata in Italia, firmai una prima inchiesta per Vie Nuove, intitolata “La fabbrica delle leggi”, con la quale denunciavo la lentezza dei lavori parlamentari, i continui rinvii delle proposte di legge da una commissione all’altra e poi da Montecitorio a Palazzo Madama e viceversa. (Le cose, come sappiamo, non sono cambiate. Anzi…). Dopo alcuni anni ho avuto finalmente la mia prima tessera dell’Ordine, e, insieme quella della Stampa Parlamentare. Ricordo ancora l’emozione con la quale, nel 1960, entrai per la prima volta a Montecitorio come giornalista dell’Unità, in tempo per vivere, dalla Tribuna stampa, la drammatica vicenda del governo Tambroni, cui seguì il primo centrosinistra. (Ero, allora, l’unica donna giornalista parlamentare e Renato Venditti e Vittorio Orefice mi fecero da Cicerone…) Da quella Tribuna, per anni, ho ascoltato e riassunto per i lettori dell’Unità, i discorsi di Togliatti, di Nenni, di Moro, di Andreotti e raccontato la elezione di un paio di presidenti della Repubblica, di Antonio Segni e di Giuseppe Saragat e più tardi, come giornalista del Paese Sera, la elezione – straordinariamente controversa – di Leone. Storie lontane che ricordo con un filo di nostalgia. (Trovavo affascinante la politica, con le sue polemiche, i suoi intrighi, le sue furbizie, i suoi trabocchetti, i suoi inganni ) Dopo una breve esperienza come direttore di “Noi Donne”, il settimanale dell’UDI, nel 1970 venni assunta a Paese Sera, in tempo per seguire, da inviato, la drammatica vicenda del “Settembre nero” tra Beirut, Damasco e Amman e i funerali di Nasser al Cairo. Ma anche a Paese Sera mi sono occupata soprattutto di politica italiana, con uno sguardo particolare rivolto alle battaglie delle donne e al movimento femminista. Furono anni di importanti battaglie civili nel corso dei quali le donne conquistarono prima la legge sul divorzio (approvato alla fine del 1970 e confermato dal successivo referendum) poi una nuova legge sul diritto di famiglia, mentre si moltiplicavano le iniziative a favore di una legge che depenalizzasse l’aborto. Su questi temi noi, di Paese Sera (direttore Giorgio Cingoli, vicedirettori – se la memoria non m’inganna- Mario Lenzi e Sandro Curzi) prendemmo spesso posizioni autonome, più avanzate a nostro avviso rispetto alla linea di prudenza scelta dal Pci cui il quotidiano era legato. Nell’estate del 1975, dopo le elezioni regionali che avevano registrato uno straordinario balzo in avanti del Pci , si preannuncia l’uscita di un nuovo quotidiano. Sarà “la Repubblica” con la direzione di Eugenio Scalfari, alla quale approdai fin dai numeri zero (e il primo numero in edicola, il 14 gennaio 1976, ospiterà una mia “nota” intitolata “Anche l’aborto nei calcoli del governo”) E Repubblica sarà, finalmente, il mio giornale. A conti fatti, ho vissuto lì, la maggior parte della mia vita professionale, occupandomi ancora, come sempre, di politica interna e come inviato. Ho vissuto e raccontato, per i lettori di Repubblica, gli incontri tra Moro e Berlinguer che prepararono e consentirono la nascita del cosidetto “governo delle astensioni”, le defatiganti riunioni della Direzione e del CC del Pci nel corso di quella turbolenta stagione, e poi l’imprevista affermazione di Bettino Craxi, e ancora la vittoria di De Mita e la sua sconfitta. Giorno dopo giorno ho continuato insomma a raccontare le vicende di quella che era la complessa vicenda della politica italiana, fatta di accordi di intrighi di ambizioni di menzogne di tradimenti. “E’ la politica, bellezza…” può commentare il cronista. Ma quello che la politica, anche la più spietata, non poteva prevedere fu il rapimento e la uccisione di Aldo Moro. Arrivai a Via Fani, quel giorno di marzo del 1978, poco dopo il rapimento, a registrare per i lettori di Repubblica le prime crudeli immagini e le prime incerte testimonianze. Poche settimane dopo, ero a Via Caetani, a fianco del Ministro degli Interni Cossiga, quando un ufficiale di polizia alzò un lembo della coperta di lana che, dietro il sedile di una vecchia Renault, copriva un cadavere. Era Aldo Moro. Forse, in realtà è morta con lui, quel giorno, quella che chiamiamo la Prima Repubblica.
 
Mercoledì 5 Ottobre 2011 - ore 16.45 - Bruno Pontecorvo, un grande fisico, un eterno adolescente
 
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